Cosa vuole chi lavora VS cosa offrono le aziende
Scritto da Jobseeker, Team editoriale • Ultimo aggiornamento 6 novembre 2025

Cosa cercano i lavoratori - Cosa offrono le aziende: il grande gap

Il divario tra ciò che cercano i dipendenti e ciò che offrono le aziende non è un semplice disallineamento: è una frattura profonda, che rischia di segnare il futuro del lavoro. Smart working, retribuzioni trasparenti, politiche di inclusione: queste sono solo alcune delle priorità che continuano a essere sottovalutate. Ma per le imprese che vogliono attrarre talenti e rimanere competitive, è arrivato il momento di ascoltare con più attenzione, e di agire.

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Il rapporto tra datori di lavoro e dipendenti si è trasformato in modo radicale in questi ultimi anni. La pandemia, l'innovazione digitale e le contingenze economiche hanno completamente ridefinito le dinamiche lavorative, ampliando il divario tra le aspettative dei lavoratori e la capacità di adattamento delle imprese. Tuttora, nel 2025, le aziende faticano a soddisfare le richieste di flessibilità negli orari, possibilità di lavorare da remoto, stabilità contrattuale, reribuzione equa, opportunità di crescita. Il nostro ultimo sondaggio esamina lo stato attuale della situazione, per evidenziare le lacune più critiche e per suggerire strategie concrete da mettere in atto subito.

Risultati principali

Aspettative VS Realtà

Comparison of employee and employers perspectives on positive work environment (67% vs 29%), Diversity, Equity and Inclusion practices (29% vs 8%), and Remote/flexible working arrangements (47% vs. 7%).

Metodologia di ricerca

Questo nuovo sondaggio di Jobseeker combina un set di dati del 2025, ricavati dalle risposte di 350 specialisti delle Risorse Umane, con un set di dati dell'anno scorso, ricavati delle risposte dei dipendenti. Gli specialisti delle Risorse Umane sono stati intervistati su una serie di temi 'caldi', come la flessibilità, le aspettative salariali, le preoccupazioni legate all'intelligenza artificiale, le strategie di retention. I risultati sono stati poi confrontati con le opinioni dei dipendenti sugli stessi argomenti. Sono stati inclusi e analizzati anche i dati di tre precendenti sondaggi di Jobseeker, focalizzati sul livello di soddisfazione professionale, sulle priorità di carriera e sulle differenze di genere sul posto di lavoro.

In questo caso, l'obiettivo è identificare le discrepanze più significative tra ciò che vuole chi lavora e ciò che offrono le aziende, nonché fornire consigli strategici su come sanare la frattura.

I risultati principali

Il sondaggio ha identificato cinque principali disallineamenti tra ciò che vuole chi lavora e ciò che offrono le aziende nel 2025:

  • Ambiente di lavoro positivo: il 46% degli impiegati lo ritiene una priorità, mentre solo il 29% dei datori di lavoro pensa che sia importante per i dipendenti.
  • Diversità, equità, inclusione (DEI): per il 29% dei lavoratori è importante, mentre solo l'8% dei datori di lavoro ritiene che per i dipendenti sia una priorità.
  • Lavoro da remoto e orario flessibile: il 47% dei dipendenti vorrebbe lavorare in 'full remote', ma solo il 7% delle aziende ne dà la possibilità.
  • Preoccupazione per l'IA: il 65% dei dipendenti teme la competizione con l'intelligenza artificiale, eppure solo il 37% dei datori di lavoro la considera una priorità in fase di assunzione.
  • Stabilità: è la seconda causa di dimissioni più citata dai dipendenti, ma a pensare che l'instabilità sia una delle principali ragioni che induce le persone a cambiare impiego è soltanto il 18% delle aziende.

Che cosa conta sul lavoro: la visione di dipendenti e aziende a confronto

Essere soddisfatti del proprio lavoro, nel 2025, deriva dalla combinazione di diversi fattori, e include aspetti che non riguardano soltanto lo stipendio o lo status. Nonostante la retribuzione e i benefit rimangano la priorità principale (al primo posto per il 61% dei lavoratori), c'è una lista di necessità sempre più importanti, tra le quali:

  • Stabilità lavorativa: 51%
  • Equilibrio tra lavoro e vita privata: 46%
  • Ambiente di lavoro positivo: 46%
  • Opportunità di crescita professionale: 40%
  • Smart working (lavoro da remoto, orari flessibili): 31%
  • Diversità, equità, inclusione (DEI): 29%
  • Impatto/rilevanza del lavoro : 12% (1)
Priorità dei dipendenti VS Percezione delle aziende
 

Lavoratori

Datori di lavoro

Livello del divario

Stipendio e benefit

61%

70%

 

Stabilità contrattuale

51%

54%

 

Equilibrio tra lavoro e vita privata

46%

50%

 

Ambiente di lavoro positivo

46%

29%

 

Opportunità di crescita professionale

40%

30%

 

Smart working

31%

36%

 

Diversità, equità, inclusione

49%

8%

 

Datori di lavoro e dipendenti non sono pienamente allineati su ciò che contribuisce a rendere il lavoro soddisfacente. In particolare, le aziende continuano ad attribuire importanza a stipendio e benefit, ma sottovalutano le priorità dei dipendenti in molte altre aree.

  • Oltre i due terzi dei datori di lavoro (70%) indicano ‘stipendio competitivo e benefit’ come uno dei principali fattori di soddisfazione.
  • I datori di lavoro sottovalutano l'impatto di un ambiente di lavoro positivo: solo il 29% lo considera importante, rispetto al 46% dei lavoratori.
  • Meno di 1 datore di lavoro su 10 ritiene che le iniziative legate a diversità, equità e inclusione abbiano un peso significativo, mentre per più di 1 dipendente su 4 hanno valore.
  • Seppure in misura minore, i datori di lavoro sottovalutano anche le opportunità di crescita professionale (30% vs. 40%).

Questi disallineamenti di visione tra datori di lavoro e dipendenti - tra ciò che per gli uni e per gli altri contribuisce in modo più significativo a creare un contesto soddisfacente e motivante - possono avere un impatto profondo sul benessere ma anche sull'efficienza. Se le aziende non tengono conto di ciò che le persone cercano in un posto di lavoro, si rischia di compromettere la motivazione, con conseguente aumento del turn over e diminuzione della produttività.

Lavoro da remoto e orari flessibili: che cosa sta cambiando?

La richiesta di lavoro da remoto è uno dei cambiamenti post-pandemia che ha lasciato il segno più marcato, e che si avverte tuttora. L'obbligo di lasciare l'ufficio ha creato un precedente, e mentre molti dipendenti hanno sperato che portasse a un cambio di rotta permanente, molte aziende lo hanno applicato come semplice provvedimento temporaneo.

Secondo il sondaggio di Jobseeker, la discrepanza su questo aspetto è oggi la più sentita nel mercato del lavoro statunitense:

  • Circa la metà dei dipendenti vorrebbe lavorare interamente da remoto (47%), ma meno di 1 datore di lavoro su 10 ne dà la possibilità (7%).
  • I datori di lavoro preferiscono modalità ibride, che combinano lavoro da remoto e presenza in ufficio. A offrire questa soluzione è più della metà delle aziende (58%).
  • Tuttavia, meno di 4 lavoratori su 10 considera il lavoro ibrido come scelta ideale (37%).
  • Il lavoro in presenza rappresenta la modalità migliore per meno di un quarto delle aziende, ma anche in questo caso il gap è significativo: solo per il 7% dei lavoratori è l'opzione preferita.
  • Il 36% dei dipendenti ritiene che la flessibilità sia fondamentale anche per promuovere un ambiente equo per tutti i generi.

La preferenza per il lavoro da remoto varia in base all'età e al livello di seniority, ma il trend - e questo in effetti può stupire - è inverso: aumenta con il livello di seniority e diminuisce con l'età. Il che significa che i più propensi a lavorare a distanza sono sia i gruppi di professionisti senior, sia i gruppi anagraficamente più giovani.

E se da un lato il passaggio al lavoro da remoto su larga scala, immediatamente successivo al periodo pandemico, ha cambiato le aspettative dei dipendenti, dall'altro le aziende vogliono riprendere il controllo degli orari. Secondo un report di Forbes, il numero di imprese che chiede presenza fissa in ufficio sta aumentando, così come il numero di giorni richiesti. Nell'ultimo semestre del 2024, il numero medio di giorni di lavoro in presenza è aumentato di 0,29 giorni alla settimana negli Stati Uniti (2).

Lo smart working in Italia: fenomeno diffuso ma non abbastanza

Secondo i dati dell'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il lavoro da remoto in Italia ha registrato un lieve aumento nel corso del 2025, ma è ancora lontano dal suo pieno potenziale.

Dopo il picco del periodo pandemico, che nel 2020 ha portato il numero di lavoratori in smart working da 570.000 unità a oltre 6,5 milioni, negli ultimi tre anni (dal 2022 a oggi) la quota si è assestata intorno a 3,5 milioni.

Quest'anno si è registrato un aumento nel settore pubblico, dove oggi le persone che lavorano da remoto sono 555.000, pari al 17% della Pubblica Amministrazione. L'incremento è stato lieve nelle grandi imprese, dove gli smart worker rappresentano più della metà del personale (53%), mentre nelle piccole e medie imprese raggiungono soltanto l'8% del totale.

Nel complesso, nel nostro paese, a prevalere è un modello di lavoro ibrido, che alterna lavoro in presenza e a distanza a seconda delle policy delle singole aziende e organizzazioni.

Pur configurandosi come fenomeno stabile, di cui si apprezzano sempre di più gli effetti, più di un quinto dei dipendenti dichiara che potrebbe svolgere in smart working almeno la metà delle proprie mansioni, con pari efficacia e con la stessa dotazione tecnologica. Il che consente di ipotizzare almeno 3 milioni di potenziali smart worker. Tutti, al momento, ancora in ufficio. (3)

IA e automazione: opportunità o minaccia?

Uno dei cambiamenti recenti più radicali è l'Intelligenza Artificiale (IA): vera e propria rivoluzione, da ogni punto di vista. Se da una pare c'è il timore che l'IA possa 'rubare' il lavoro agli esseri umani, e sostituirli, dall'altro, al di là delle minacce, si inizia piuttosto a coglierne le potenzialità.

  • Circa la metà dei dipendenti pensa che l'IA possa aumentare le opportunità di lavoro negli anni a venire (48%).
  • Circa 1 dipendente e 1 azienda su 4 crede che l'IA porterà a una riduzione dei posti di lavoro.
  • I dipendenti sono molto meno propensi a credere che l'IA non avrà alcun impatto sulle opportunità lavorative, rispetto alle aziende (14% vs. 31%).

Secondo i dati di Jobseeker, l'impressione è che le aziende tendano a sottostimare la portata dell'IA, e con ciò la necessità di aggiornare le competenze in questo campo:

  • Due terzi delle aziende (65%) ritiene di dover integrare l'IA nei processi di lavoro.
  • Tuttavia, solo il 15% delle aziende considera l'IA ‘priorità assoluta’ o ‘priorità di rilievo’ nelle strategie di assunzione previste entro i prossimi due anni. A prenderla in considerazione è oltre la metà del campione (52%), ma senza attribuirle primaria importanza.
  • I dipendenti più giovani avvertono decisamente maggiore pressione a sviluppare competenze in ambito IA rispetto ai colleghi più senior (71% dei dipendenti di 18-27 anni e 76% dei dipendenti di 28-43 anni, contro il 33% degli over-60).

L'IA nelle imprese italiane

Un terzo delle grandi imprese, in Italia, utilizza software IA. Il 20% delle imprese che ne fanno uso ha programmato investimenti nel settore per il prossimo biennio. Nel complesso l'impiego dell'intelligenza artificiale è passato dal 5% all'8,2%: oltre 3 punti percentuali in più, che tuttavia non bastano a raggiungere la media europea (pari al 13,5%). Questi sono alcuni degli insight del più recente rapporto Istat dedicato a Imprese e ICT, pubblicato nel 2025 e relativo all'anno precedente.

I compiti più comunemente affidati all'intelligenza arificiale riguardano l'analisi e l'estrazione di informazioni da documenti di testo, la produzione di contenuti, la conversione della lingua parlata in formati leggibili dai device digitali, l'automatizzazione dei flussi di lavoro e la movimentazione di macchine.

Il tipo di azienda che tipicamente fa uso di intelligenza artificiale appartiene alle piccole e medie imprese ed è localizzata nel Nord del paese. I settori più ineteressati sono marketing e vendite, management dei processi organizzativi, attività innovative e di ricerca e sviluppo.

Per quanto riguarda la formazione dei dipendenti, le imprese che dichiarano di volerla attivare sono le stesse che prevedono investimenti nel settore, mentre le altre, al momento, non sembrano interessate. (4)

Stipendi, prospettive di crescita e trasparenza

Per i dipendenti, un'idea chiara della direzione della propria carriera, e delle prospettive di crescita, è un elemento fondamentale del senso di soddisfazione professionale. A indicarlo come tale è il 40% del nostro campione. Non a caso nei nostri esempi di CV la crescita professionale viene di frequente citata fin dalle prime righe, e ancora più spesso negli esempi di lettera di presentazione, con ulteriori dati di contesto e argomentazioni. In tutto ciò, la trasparenza retributiva gioca un ruolo chiave perché è il parametro primo per misurare il proprio valore e le opportunità di avanzamento.

  • Il 47% dei dipendenti ritiene che delle fasce di stipendio standardizzate migliorerebbero l'equità di genere nelle assunzioni e nelle promozioni. (3)
  • Circa 4 dipendenti su 10 (38%) ritengono che parlare in modo trasparente degli stipendi ridurrebbe il gap retributivo tra i generi.
  • Circa la metà delle aziende (49%) offre piena trasparenza, pubblicando le fasce salariali relative a tutti i ruoli.
  • Solo il 20% delle aziende mantiene le informazioni sui salari completamente riservate.

A quel 20% di aziende che non condivide alcuna informazione sulle retribuzioni, deve essere chiaro che tale scelta può avere un impatto sulla motivazione dei dipendenti. La controargomentazione dei datori di lavoro si basa in genere sul timore di conflitti interni, sull'incremento del costo del lavoro e sulla necessità di formazione dei dipendenti in materia di livelli retributivi. Ciò detto, ignorare il tema implica dei rischi potenzialmente maggiori: in termini di mancato coinvolgimento della forza lavoro, quindi di turnover.

Per ridurre la scissione tra ciò che i dipendenti vogliono e ciò che le aziende offrono, i datori di lavoro dovrebbero innanzitutto garantire il rispetto delle normative di settore, a partire dalla corretta classificazione dei dipendenti e dall'adesione alle scale retributive. Audit periodici aiuterebbero a identificare eventuali disparità, oltre a dimostrare un impegno concreto per raggiungere la piena equità di trattamento. (5)

Trasparenza retributiva in Italia: traguardo possibile?

La Direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza salariale impone a tutti gli stati membri l'obbligo di garantire la parità retributiva tra lavori di pari valore, criteri chiari di progessione economica e la fine del segreto retributivo, riconoscendo il diritto dei lavoratori di conoscere gli stipendi medi.

La data del recepimento è vicina (giugno 2026), ma si tratta di un cambiameno organizzativo - e culturale - che in molti ritengono di difficile attuazione nel nostro paese.

Secondo un articolo del Sole 24 Ore, molte aziende in Italia non sono pronte ad affrontare il passo in modo strutturato, in particolare tra le piccole e medie imprese. Sono soprattutto multinazionali e grandi imprese ad aver iniziato a predisporre piani di adeguamento, ma in minoranza sia rispetto alle aziende di pari dimensioni sia rispetto al resto del tessuto produttivo italiano.

La Direttiva rappresenta un'opportunità dall'impatto potenzialmente epocale: per rinnovare il patto di fiducia tra datori di lavoro e dipendenti, per incentivare modelli produttivi più equi, e per creare una cultura del lavoro fondata realmente sulla meritocrazia e sull'inclusione.

Se in fase di recepimento non si introdurranno misure ad hoc per le aziende (come strumenti semplificativi e di 'accompagnamento'), il rischio sarà un'adempimento formale, con soluzioni di superficie e non di sostanza. (6)

Perché i dipendenti se ne vanno: le cause più rilevanti nel 2025

Il sondaggio di Jobseeker rivela che circa due terzi (62%) dei lavoratori, negli Stati Uniti, sta pensando di cambiare lavoro. Ecco alcune delle ragioni principali:

  • Stipendio più alto e benefit migliori
  • Maggiore stabilità
  • Più opportunità di crescita
  • Ambiente di lavoro migliore

Chiedendo ai datori di lavoro perché i dipendenti se ne vanno, la metà delle risposte individua la causa nel desiderio di cambiare carriera o settore. Tra le altre ragioni indicate:

  • Stipendio basso o migliore retribuzione altrove: 43%
  • Trasferimento o motivi personali: 40%
  • Benefit maggiori offerti dai competitor: 39%
  • Mancanza di opportunità di crescita: 25%
  • Scarso equilibrio tra lavoro-vita privata: 24%
  • Ambiente tossico o cattiva gestione: 23%
  • Instabilità o licenziamenti: 18%
  • Limitate o del tutto assenti opzioni di lavoro da remoto: 17%
  • Mancanza di riconoscimento o gratificazione: 13%

Le tre ragioni principali indicate dai datori di lavoro riguardano retribuzione e cambiamenti nella vita privata. Tutti gli altri aspetti vengono sottovalutati. Eppure, per i dipendenti, la stabilità, le opportunità di crescita e un ambiente positivo sono priorità fondamentali, in assenza delle quali cercano lavoro altrove.

Perché i dipendenti se ne vanno, secondo le aziende

Employers' perspective on what the dealbreakers are in workplaces. These include career change, low pay, relocation/personal reasons, better benefits, no growth opportunities, bad work-life balance to name a few.

L'incompresione, da parte delle aziende, delle ragioni che spingono i dipendenti a cambiare lavoro potrebbe essere una delle cause che provocano, di fatto, un così diffuso desiderio di andarsene. La scarsa attenzione agli aspetti di contesto e di attitudine può avere conseguenze dannose, e a lungo termine, sulla motivazione dello staff e sul turnover.

Soluzioni: colmare il gap tra dipendenti e aziende

Il disallineamento di visione e aspettative tra aziende e dipendenti genera una forza lavoro insoddisfatta e demotivata, oltre a un crescente scetticismo nei confronti delle promesse aziendali. Se ignorata, questa frattura rischia di creare una cultura tossica, di ridurre la produttività e di aumentare il tasso di turnover, con tutti i relativi costi e le conseguenti complicazioni logistiche e finanziarie.

Allineare policy interne e priorità dei dipendenti, d'altro canto, può migliorare in modo significativo engagement e livello di soddisfazione, contribuendo a creare un ambiente più armonioso e produttivo. Di seguito, alcune soluzioni concrete per ridurre il divario.

  1. Rendere noti i livelli di stipendio e offrire percorsi di carriera chiari: un percorso di avanzamento professionale trasparente è uno degli elementi chiave per mantenere alta la motivazione. Rendere note le fasce retributive, incoraggiare un dialogo aperto sui salari tra dipendenti e management, definire percorsi strutturati per accedere a posizioni senior sono tutte strategie che sostengono il merito e promuovono l'equità di retribuzione e di genere. 
  2. Adottare orari flessibili e possibilità di lavoro da remoto: è improbabile che il desiderio di flessibilità diminuisca nel prossimo futuro: la possibilità di lavorare da remoto e un più sano equilibrio tra vita privata e professionale sono necessità prioritarie. Tenerne conto, e adottare modalità di lavoro flessibili, può aiutare ad attrarre e trattenere i talenti migliori.
  3. Investire nello sviluppo di competenze IA: questo tipo di competenze sono importanti per i dipendenti. Possono contribuire a gestire in modo più efficiente il lavoro e aumentare la produttività. Tutti obiettivi di rilievo per qualsiasi azienda che voglia misurarsi con le sfide del futuro e restare competitiva. Integrare l'upskilling sull'IA è un vantaggio per entrambe le parti.
  4. Promuovere una cultura positiva: l'incompresione delle ragioni per cui i dipendenti cambiano lavoro dimostra che l'importanza dei fattori di contesto e di attitudine è ampiamente sottostimata. Rivedere le value proposition aziendali, investire in iniziative che promuovano diversità, equità, inclusione, riconoscere i successi dei dipendenti, e assumere uno stile di leadership che metta al centro la persona: ciascuno di questi passi porta nella direzione giusta.

Il futuro del lavoro: mettere al centro le persone

Sanare la frattura tra ciò di cui hanno bisogno i dipendenti e ciò che le aziende offrono è una delle sfide decisive, nel mercato del lavoro attuale. Il contrasto è evidente su più fronti, a partire dalle divergenze su lavoro da remoto e in presenza. Eppure agire concretamente per ridurre le distanze è possibile, oltre che doveroso e conveniente per entrambe le parti.

Efficienza e produttività aziendali, infatti, sono direttamente proporzionali al livello di motivazione dei dipendenti. Ed è così, adattandosi al cambiamento, che si crea vantaggio competitivo. L'evoluzione sempre più rapida del mondo del lavoro non si fermerà, e spetta alle aziende decidere se cogliere - o meno - le opportunità che porta con sé.

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Fonti:

  1. Jobseeker, 'Good Jobs' of the Future: Redefining what workers want
  2. Forbes, The Great Office Return—Will 2025 Be The End Of Remote Work?
  3. Osservatori.net Digital Innovation Torna a crescere lo smart working
  4. Istat - Istituto Nazionale di Statistica Imprese e ICT
  5. Jobseeker, Women are Facing Parental Leave Penalty, 3 Times Higher than Men
  6. Il Sole 24 Ore Come le aziende italiane possono affrontare la Direttiva UE sulla trasparenza retributiva
  7. Technology Advice, HR Compliance Checklist: Must-Have Steps for 2025 & Beyond

Ricerca e analisi: Reyhane Mansouri, PhD
Autore del report: Mike Potter, CPRW

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